Ecco alcune linee guida che descrivono le pellicole che andremo a visionare e ci aiuteranno nell'approfondimento dei film e nel dibattito.
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7 OTTOBRE 2010 UP
Genere: Animazione
Durata: 104’
Regia di: Pete Docter, Bob Peterson
Tematiche: Amore, matrimonio, avventura, eroismo, solitudine.
Target: Tutti! Come si diceva per i film Disney di una volta, e mai così vero!!
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Il protagonista di Up è Carl Fredricksen: lo osserviamo all'inizio bambino, che guarda al cinema con candido stupore immagini sgranate in bianco e nero (siamo negli anni 30) sull'eroico esploratore Charles Muntz, di cui diventa un fan; come lo è la piccola Ellie, destinata a diventare sua grande amica. Con un veloce salto nel tempo vediamo i due bambini - così diversi tra loro: lei chiacchierona e buffa, lui silenzioso e goffo - sognare avventure in posti paradisiaci, poi diventare grandi, sposarsi, sperare (invano) di avere figli e quindi invecchiare, in una veloce carrellata muta che - anche grazie alle musiche di Michael Giacchino - risulta di una grazia chapliniana. Sognatori affettuosi e innamorati, il venditore di palloncini Carl e la sua amata moglie Ellie hanno vissuto una vita semplice e felice. Finché lei non lo lascia solo su questa terra. E qui vediamo l'ormai vedovo Carl come è adesso, a 78 anni: solo, inacidito con il mondo, sospettoso verso gli strani uomini che costruiscono palazzi attorno a lui e che vorrebbero comprargli la casetta costruita e curata con amore insieme a Ellie, il cui ricordo è l'unica cosa che lo tiene in vita. E quando con un pretesto cercheranno di portargli via quella specie di santuario della memoria del loro tenero amore coniugale, escogiterà una via di fuga incredibile: attaccando miriadi di palloncini alla dimora sradicata notte tempo dal terreno, volerà via in cerca di quelle avventure sognate tutta la vita e mai realizzate. Ma c'è un imprevisto: il piccolo Russell, un boy scout di 8 anni che gli si è infilato in casa e che si ritrova a viaggiare con lui... Controvoglia, il burbero Carl se lo deve portar dietro: insieme si troveranno a vivere in Sud America avventure mirabolanti, drammatici pericoli e sorprese a non finire (con scene che esaltano l'incredibile spettacolarità del film, sempre con la casetta volante appresso...): come la scoperta che certi eroi non sono poi così apprezzabili, e che invece anche la persona più comune può diventare un vero eroe per salvare chi vuol bene.
Abbiamo forse detto anche troppo, ma in realtà c'è molto di più in Up, a cominciare da alcuni "caratteri" comici che seguono la tradizione Disney e Pixar (il divertente cane parlante Doug e l'uccello rarissimo Kevin), da battute irresistibili, da gag calibrate al millimetro. Ma soprattutto, in Up c'è la consueta capacità dello staff Pixar - qui alla regia c'è Pete Docter, che già realizzò Monsters & Co. - di unire divertimento e toccante rappresentazione umana. Dopo aver raccontato giocattoli in crisi di identità o alla ricerca delle proprie origini (i due Toy Story), mostri che scoprono l'accettazione dell'alterità come strada per l'amicizia (Monsters & Co.), padri ansiosi e figli ribelli ( Alla ricerca di Nemo), uomini in crisi di mezza età e di famiglie litigiose ma in fondo unite (Gli incredibili), amicizie che cambiano la vita (Cars), talenti che aprono anche il cuore più indurito (Ratatouille), e uomini capaci di riscattarsi dopo secoli di "letargo" esistenziale (Wall-E), anche stavolta riescono ancora a sorprenderci. Raccontando non solo l'ennesima "strana coppia" del cinema formata dal bambino e dal vecchietto (che ricorda tantissimo Spencer Tracy, grande attore di qualche decennio fa, anche nei modi burberi ma in fondo bonari; ma ricorda anche Walter Matthau), ma soprattutto mettendo al centro temi come la perdita della persona amata, la solitudine, la necessità di vivere il ricordo come memoria viva e non come ostacolo alla vita. Dopo aver sognato avventure impossibili, Carl non solo si troverà a viverle anche oltre ogni sua immaginazione, ma capirà - grazie all'ultimo regalo di Ellie, in una scena che fa commuovere anche i sassi - che la sua più grande avventura è stato vivere sempre accanto al grande amore della sua vita. Un amore così grande da invitarlo ad andare avanti, a non fermarsi a un pur dolce ricordo e a lanciarsi nelle nuove avventure che l'esistenza gli può ancora proporre. Che sia lanciarsi in imprese spericolate e al limite delle possibilità per un ometto quasi ottantenne o confortare un bambino dalla difficile situazione affettiva.
Domande:
- La vecchiaia è sinonimo di solitudine?
- I ricordi son ostacoli alla vita reale?
- Cosa è la ricerca del paradiso?
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14 OTTOBRE 2010
Si può fare
Genere: Commedia drammatica
Durata: 108'
Regia di: Giulio Manfredonia
con: Claudio Bisio, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Giorgio Colangeli, Bebo Storti, Andrea Bosca
Tematiche: Lavoro, dignità, disagio psichico
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Presentato fuori concorso all'edizione 2008 del Festival di Roma, "Si può fare" ha conosciuto subito il favore del pubblico, che lo ha lungamente applaudito. Scegliendo un argomento difficile come la vita dei malati mentali e mettendo al centro della scena un comico come Claudio Bisio era difficile non scadere nel siparietto o nella velleitarietà (come era successo in un film simile, "Asini", sempre interpretato da Bisio). Invece il film di Giulio Manfredonia riesce a coinvolgere lo spettatore, scegliendo i (non facili, in questo caso) toni della commedia. A molti, per l'argomento toccato, per le facce degli attori e per alcune situazioni potrà ricordare il film di Milos Forman "Qualcuno volò sul nido del cuculo"; il film italiano ha però dalla sua parte un aggancio alla realtà e un accento allegro, pur non esente da malinconia, che non lo fanno affatto sfigurare nel paragone. Ambientato nel 1983, a pochi anni dalla legge Basaglia che aprì le porte degli ospedali psichiatrici, il film ha per protagonista Nello (Bisio), un sindacalista che è visto con sospetto nel suo ambiente per aver scritto un libro che invita a misurarsi con le sfide del mercato. Inviato per punizione a dirigere una cooperativa di disabili psichici, si accorge che quelle persone che incollano francobolli tutto il giorno sotto l'effetto di pesanti sedativi sono socie della cooperativa solo per modo di dire. Scontrandosi col medico che la presiede, inizia a trattare i malati come veri lavoratori, e valorizzando le doti di pazienza, precisione e sensibilità artistica di alcuni di essi si "lancia" sul mercato della posa dei parquet. I primi successi portano a una vera e propria rivoluzione nel gruppo dei disabili, che assaporano una vita "normale", fatta di indipendenza, guadagni, scelte prese insieme e anche (grazie all'intervento di un altro medico, interpretato da Beppe Battiston), un calo dalla dipendenza dei farmaci. Ma con gli entusiasmi arrivano anche i problemi, che Nello non è preparato ad affrontare, preso com'è dall'entusiasmo e dall'energia che riversa sulla cooperativa, anche a scapito del rapporto con la ragazza con cui vive. Con l'autonomia tanto auspicata si presentano quindi circostanze che interrogano lo sviluppo della cooperativa: quando Nello viene messo in minoranza proprio dai suoi malati sull'accettare un appalto prestigioso ma impegnativo, sembra andare in crisi (anche se l'amico medico gli ricorda che avere portato quelle persone all'autonomia di scelta andrebbe visto come un successo). E lasciare i più deboli da soli nell'affronto di situazioni complesse come quelle sentimentali produrrà effetti devastanti su tutti, anche se permetterà di capire e affrontare meglio la realtà delle cose.
Il film può contare su una pregevole sceneggiatura di Fabio Bonifacci (che, tra gli altri, ha scritto anche "Amore, bugie e calcetto" e "Notturno bus"), ricca di dialoghi brillanti che esaltano il ruolo di tutti gli attori, sia i più noti (Bisio, Battiston, la Caprioli), ma specialmente il gruppo dei malati, con alcune caratterizzazioni che davvero stupiscono, tanto sono azzeccate. Dedicato a tutte le 2500 cooperative italiane che si dedicano alla cura e al recupero dei disabili psichici e prendendo spunto dalla vera storia di una cooperativa di Pordenone, "Si può fare", pur con alcune scelte discutibili, è un film interessante, il cui merito principale è portare all'attenzione anche di chi non lo conosce il problema del disagio psichico in maniera coinvolgente e immediatamente comprensibile a tutti
Domande:
- Perché siamo in una società che non accoglie i diversi?
- Il male di vivere si cura solo con i medicinali?
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21 OTTOBRE 2010 Genitori e figli: agitare bene prima dell'uso
Genere: Commedia
Durata: 110'
Regia di: Giovanni Veronesi
con: Silvio Orlando, Luciana Littizzetto, Margherita Buy, Michele Placido
Tematiche: Famiglia, adolescenza, scuola, amicizia, amore, sesso.
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In Genitori & figli il regista toscano rischia finalmente qualcosa di diverso dalla formula consolidata di Manuale d'amore. Una sola storia cerchiata da una cornice e l'obiettivo, arduo, di raccontare il mondo dei genitori e dei figli, due mondi segnati dall'incomunicabilità. Veronesi racconta con un certo realismo la sconfitta graduale ma inarrestabile di due genitori (Orlando e Littizzetto, non eccezionali) di fronte alla figlia quindicenne in piena esplosione ormonale ma anche in cerca di appoggio e di un giudizio sulle proprie scelte. I due non sanno che fare: isterici, sempre sopra le righe, vivono rapporti extraconiugali più o meno segreti, spalleggiati da una figlia che pare abbandonata a sé stessa. Non sprovvista di intelligenza, anzi dotata di un certo buon senso, Nina è mal consigliata da pseudo amiche e rischia seriamente di buttare la propria vita tra le braccia del primo che passa. Veronesi che - spiace sottolinearlo - vede come principale problema dell'adolescenza la ricerca spasmodica della "prima volta", banalizza un personaggio potenzialmente interessante. E riduce la domanda affettiva, questa sì, fondamentale nell'adolescenza a una pura questione di tecnica sessuale o a mero sentimento. Gli adulti non ne escono bene, quasi per nulla. Se Orlando e Littizzetto hanno il merito di non diventare compagnoni dei figli, seguendo la china pericolosissima degli adulti-bambini di tanti film adolescenziali degli ultimi anni, non hanno davvero risposte da dare alla figlia, né in un senso, né nell'altro. Sono figure fragili sia psicologicamente sia narrativamente, che cercano disperatamente di fornire un giudizio rispetto alle domande serrate e serie della figlia. Come nella sequenza in cui la Littizzetto si sforza - non trovando le parole - di spiegare che no, è troppo presto a 15 anni fare l'amore con il fidanzatino. Vorrebbe spiegare che non è giusto, che non è serio, che è un buttarsi via, ma la sua spiegazione è confusa anche se sensata. "Aspetta il ragazzo giusto", le dice: il che è un timido, timidissimo e insicuro tentativo di giudizio, che la ragazza ovviamente si guarderà bene dal seguire. Terribile invece il personaggio interpretato da Piera Degli Esposti: donna naif ed egoista, in punto di morte e dopo anni di lontananza, si ritroverà col figlio Orlando e soprattutto cederà alla nipote come dono finale il proprio appartamento per la fatidica prima volta. Un'eredità triste e sterile che non risponde davvero alla domanda affettiva che la ragazza, in maniera acerba, ha posto per tutta la durata del film.
Domande:
- Quale rapporto vedete tra genitori e figli?
- Il compito educativo dei genitori è educare alla prima volta?
- Esistono nonne così?
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28 OTTOBRE 2010 Tra le Nuvole
Genere: Commedia
Durata: 109'
Regia di: Jason Reitman
con: George Clooney, Vera Farmiga, Anna Kendrick
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Il regista canadese Jason Reitman, figlio d'arte (il padre Ivan ha realizzato ottime commedie come Ghostbusters, I gemelli, Dave), è giovane ma già profondo conoscitore dell'animo umano. Dopo gli eccellenti Thank you for smoking e Juno, con Tra le nuvole firma già il suo capolavoro. Partendo da un romanzo di Walter Kirn, Reitman ci presenta un superbo George Clooney nei panni di un uomo che per mestiere fa il "licenziatore" per aziende e manager di "codardi che non hanno il coraggio di farlo". Sempre su un aereo che lo porta di qua e di là dall'America (con una casa, che non sembra una casa, sempre vuota), Ryan non si fa problemi nel tagliare posti di lavoro in aziende in difficoltà, nell'addolcire la pillola ai dipendenti ormai senza lavoro con grande faccia tosta - ma anche sapendo cogliere le sfumature dell'animo umano, anche se solo per il suo vantaggio professionale - e a vivere solo per vincere una (da lui) molto ambita tessera fedeltà per chi ha accumulato miglia di volo in quantità industriale.
Se non che su un aereo conosce una donna, di nome Alex, con cui imbastisce un'intrigante relazione a distanza, che si rinnova nelle pause (per quanto ricercate con un certo impegno) tra un viaggio e l'altro. Intanto Natalie, una giovane e rampante new entry della sua compagnia, rischia di far saltare il suo modo di vivere e lavorare, progettando - con il consenso del capo dell'azienda - un sistema di "telelicenziamenti" via monitor, ancora più disumani ma che permetterebbero di risparmiare soldi e viaggi. Con entusiasmo dell'amministratore delegato e depressione di Ryan. Che oltre tutto si trova a far da balia alla giovane aspirante tagliatrice, ma pian piano le si affeziona suo malgrado: le insegna i trucchi, la motiva, la incoraggia, la consola quando sembra crollare di fronte alla durezza del lavoro. Da qui partono altre sorprese, vicende, situazioni, che si incrociano tra il rapporto occasionale con Alex (in cui entrambi non sembrano volere di più di avventure sessuali appaganti), l'apprendistato professionale di Natalie (e le sue crisi, anche sentimentali), le vite dei licenziati e il matrimonio della sorella: vissuto mal volentieri, quasi temuto, diventerà il big bang che travolgerà la vita di Ryan.
Ci sono tante sorprese e colpi di scena nella parte finale del film, uno dei quali sarebbe delinquenziale rivelare. E che conducono a un epilogo amaro e bello al tempo stesso, in cui la consapevolezza del protagonista si fonde con la scoperta che la vita è altro da quello che aveva immaginato. E che l'obiettivo raggiunto a fatica - la tessera fedeltà tanto agognata - si dissolve nell'oblio delle ragioni che sostenevano quell'impresa. Mentre esplode, imprevisto (lui che teorizzava, in incontri "motivazionali" quanto fosse meglio vivere "leggeri", senza legami), il desiderio di non essere solo: bellissimi, nel finale, gli spezzoni girati dal regista con persone vere che raccontano come hanno resistito alla perdita del posto di lavoro grazie a mogli o mariti, figli, amici. Un commovente momento di cinema-verità.
Tra le nuvole è un film inizialmente divertente (parecchio), che rivela progressivamente lo spessore della storia che racconta e la profondità del narratore, che sa essere anche amaro senza sprofondare in un cinismo disperato. Jason Reitman - ormai affermato autore: tre bei film non sono un caso - sa oltrepassare la cortina di situazioni apparentemente superficiali con lo sguardo di chi conosce l'umanità. E racchiude in quest'opera così tanti spunti, temi, argomenti che potevano bastare per tre o quattro film. Soprattutto, ci mette dentro la vita: ma con leggerezza, sapendo essere attraente (i dialoghi sprizzano intelligenza e arguzia) e commovente al tempo stesso.
Domande:
- Il nostro mondo è un mondo senza legami?
- Come si affronta il desiderio di non essere soli?
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